When I was a kid I knew I wanted to write, even though I didn’t have a clear idea about how to make it work. In my head, there was some kind of writers school I had to attend after high school to be entitled to publish my novels. And it seemed a bit confusing, to be honest.
Then one day my parents bought a computer and an older cousin of mine gave me a few video games on floppy disks. Needless to say, I loved them from the beginning. Suddenly, it all became clear: the path to be a writer was too fuzzy and confusing, with no guarantee of success. I decided I’d become a videogame developer.
I have never changed my mind since then, except for a brief stint in which I considered making a living as a photographer. It didn’t last long because it seemed to have the same problem of the writer’s career: I wasn’t sure where to begin, other than perfecting my craft and hoping someone noticed me. The dark path into Computer Science, instead, was marked pretty clearly in front of me, and I followed it all the way down to a Masters Degree.
Sometimes I look back and wonder why I have been so fascinated by disciplines so different from each other, but looking at it from a broader perspective it all makes sense. There is something tying all those disciplines (and many more) together: they’re all means to tell a story.
Trivial as it sounds, I am happy I found a kind of common denominator, a strong one. I tend to be a shy person in public (who am I fooling, a very shy person) and I don’t talk a lot, but when I’m on my own, I can’t help but come up with stories. Words flow freely.
My life as a commuter gives me plenty of time to come up with story stubs and write them down. Many of them are weak and lead to nowhere, but there are a few that stick. And I plan to use this space as a home for the few ones who do, to let them out and share them with the world. Or with the subset of the world interested in hearing them, of course.
{:}{:it}Quando ero bambina volevo diventare una scrittrice, anche se non avevo un’idea chiara su come funzionasse il processo per diventarlo. Pensavo che ci fosse qualche tipo di scuola di specializzazione per scrittori da seguire per essere autorizzati a pubblicare libri. E la cosa mi sembrava incredibile, a dire la verità.
Poi, un giorno, i miei genitori hanno comprato un computer, e un cugino mi ha regalato una serie di floppy disk pieni di videogiochi. Ovviamente li ho amati dal principio, e tutto è diventato chiaro: diventare scrittrice sembrava troppo complicato e senza una via chiara da seguire, così ho deciso che sarei diventata una programmatrice. Di videogiochi, possibilmente.
Da allora non ho più cambiato idea, se si esclude un breve periodo intorno ai quindici anni in cui ho pensato di diventare fotografa. Questo intermezzo non è durato perché sembrava presentare lo stesso problema della carriera da scrittrice: non sapevo da dove iniziare per renderlo una professione. A parte sperare che qualcuno bravo mi notasse. La carriera nell’informatica, invece, era segnata abbastanza chiaramente davanti a me e l’ho seguita fino alla Laurea Magistrale. Anche dopo, in realtà, ma questa è un’altra storia.
A volte mi guardo indietro e mi chiedo come sia possibile che io sia sempre stata rapita da discipline così diverse tra loro, ma guardando le cose in una certa prospettiva tutto ha senso. C’è qualcosa che lega insieme queste tre discipline (e molte altre): sono tutti modi di raccontare o vivere una storia.
Sembrerà banale, ma sono contenta di aver trovato questa specie di denominatore comune.
Per quanto sia molto timida in pubblico, quando sono sola con me stessa le parole vengono fuori naturalmente e mi è semplice organizzarle in storie. E la mia vita da pendolare ha molti difetti, ma mi dà un sacco di tempo per immaginare storie e annotarle. Qualcuna è destinata a non avere un seguito, ma alcune rimangono.
Questo spazio è per le storie che rimangono, per fare in modo di farle uscire fuori nel mondo. O con il sottoinsieme del mondo interessato a sentirle.
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